Il 10 marzo 1946 segna una data storica per la democrazia del nostro Paese: con il decreto n.74 si sanciva l’eleggibilità per le donne italiane che avessero compiuto 25 anni, portando a compimento  un percorso iniziato l’anno precedente, con il decreto Bonomi del 31 gennaio 1945, che aveva esteso la partecipazione all’elettorato passivo a tutte le donne maggiorenni. (ricordiamo che la maggiore età si raggiungeva a 21 anni).

Finalmente, quasi mezzo secolo dopo le lotte per il suffragio femminile che videro attive anche in Italia numerose militanti politiche e di cui possiamo ricordare la petizione popolare scritta da Anna Maria Mozzoni e Maria Montessori, venivano dati pieni diritti politici alla popolazione femminile. L’Italia arrivava molto dopo i principali paesi europei, ma del resto i vent’anni di dittatura fascista avevano privato tutti i cittadini del diritto di voto, e i dibattiti e anche il percorso parlamentare per il diritto al voto delle donne avviato sul finire della Prima Guerra Mondiale fu bruscamente interrotto con la nomina dei podestà nei comuni e lo scioglimento del Parlamento nel 1926.

L’Italia arrivava tardi e con molte resistenze, anche all’interno dei principali partiti politici dell’epoca-Dc e PCI- che furono però determinanti nella decisione, spinti dalle nuove organizzazioni femminili come  l’Unione Donne Italiane (UDI),  che dal 1944 tentarono di tradurre in ambito politico le competenze femminili emerse nella sfera pubblica durante la guerra e l’esperienza della Resistenza.   Così scrive Tina Anselmi , a questo proposito: “Noi ragazze che avevamo partecipato alla Resistenza, una volta raggiunta la pace dopo aver contribuito rischiando la vita ad accelerare la fine della guerra, avremmo potuto non renderci conto di quale conquista fosse il diritto di voto alle donne ? “

Le donne votarono per la prima volta alle elezioni amministrative che si tennero in più turni a partire dalla primavera del 1946 e poi  parteciparono in modo massiccio al voto del 2 giugno , per il referendum tra monarchia e repubblica e per eleggere l’Assemblea Costituente. Furono 21 le donne elette nell’assemblea, le nostre Madri Costituenti: 9 per il PCI, 9 per la DC, 2 per lo PSIUP, 1 per l’Uomo Qualunque. 21 su un totale di 566 deputati. Iniziava per le donne un lungo e faticoso cammino di presenza, sempre minoritaria e per nulla favorita, nelle Istituzioni italiane e una stagione di lotte per conquistare la pienezza dei diritti politici,  che il voto non aveva automaticamente concesso , ma soprattutto la pienezza dei diritti civili. Basti pensare alla differenza salariale tra uomo e donna, che nonostante una parità giuridica formale,  è ancora troppo spesso presente anche oggi. La battaglia delle parlamentari donna portò negli anni all’approvazione di importanti leggi per il raggiungimento della piena cittadinanza : l’accesso alla magistratura (1956): l’abolizione delle case chiuse (1958), la costituzione della polizia femminile (1959), il divieto di licenziamento per matrimonio (1963); l’abolizione della differenza tra adulterio maschile e femminile (1968), la legge sul divorzio (1970), la legge sul nuovo diritto di famiglia e sui consultori famigliari (1975); la legge sull’aborto (1981).

In questi ultimi anni l’azione delle donne si è concentrata sul raggiungimento della piena rappresentanza femminile nelle assemblee elettive e negli esecutivi, attraverso l’approvazione di una serie di  norme come quella che prevede la doppia preferenza di genere o la presenza paritaria nelle liste e negli esecutivi. Analogo obbligo ha riguardato la presenza femminile nei consigli d’amministrazione (legge Golfo-Mosca), provocando per la prima volta una forte immissione di donne ai vertici delle più importanti società del Paese.

Per rompere il tetto di cristallo che continua a limitare le potenzialità delle donne italiane, sia in politica che nel lavoro, è necessario da un lato realizzare efficaci politiche di conciliazione e dall’altro proseguire il lento cammino culturale di superamento dei ruoli tradizionali nella coppia e in famiglia.

70 anni dopo, come dichiara l’UDI, “c’è ancora molto da fare perché la libertà è molto di più del diritto di voto, ma con il voto possiamo pretendere molta più libertà”.

Silvana Accossato

 

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(foto da left.it)