Antonio Gramsci sosteneva di odiare il Capodanno. Scrive in un articolo del 1 gennaio 1916 sull’Avanti!:

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. […] Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno.

Gramsci invita ad essere vigili e pronti ogni giorno dell’anno e non solo a scadenza, magari per convenzioni o per convenienze; sprona a non perdere la continuità, insomma a lottare ogni giorno.

Allo stesso tempo, però, nell’attuale particolare e complessa situazione globale e locale, di transizione e confusione dopo tanti avvenimenti internazionali imprevisti e dagli esiti incerti (in Europa, negli Stati Uniti, in Medio Oriente…) e dopo passaggi politici, come l’esito del referendum costituzionale, con scenari tutti da definire, è necessario fermarsi per recuperare una rotta. Fermarsi per rimettere al centro ciò che è l’essenziale, cioè l’obiettivo primario di un impegno per il bene comune, del nostro Paese, di tutti Noi.

Alla fine del 2016, alla luce del difficile quadro sociale ed economico italiano, ancora pesante nonostante alcuni segnali positivi, il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella assume una valenza fondamentale perché dà chiaramente tale rotta con le coordinate necessarie. Mattarella, nel farlo, richiama il “senso diffuso di comunità” che “costituisce la forza principale dell’Italia, anche rispetto alle tante difficoltà che abbiamo di fronte e sottolinea che “la comunità […] va costruita, giorno per giorno, nella realtà” (e ciò si lega al senso dell’ odio di Gramsci per il Capodanno: impegno autentico quotidiano e non solo propositi e promesse per l’occasione).

Il Presiente Mattarella è lapidario: il problema numero uno del Paese resta il lavoro. 

Nonostante l’aumento degli occupati, sono ancora troppe le persone a cui il lavoro manca da tempo, o non è sufficiente per assicurare una vita dignitosa. Non potremo sentirci appagati finché il lavoro, con la sua giusta retribuzione, non consentirà a tutti di sentirsi pienamente cittadini.

Combattere la disoccupazione e, con essa, la povertà di tante famiglie è un obiettivo da perseguire con decisione. Questo è il primo orizzonte del bene comune.

Abbiamo, tra di noi, fratture da prevenire o da ricomporre.

Tra il Nord del Paese e un Sud che è in affanno. Tra città e aree interne. Tra centri e periferie. Tra occupati e disoccupati. Barriere e difficoltà dividono anche il lavoro maschile da quello femminile, penalizzando, tuttora, le donne.

Far crescere la coesione del nostro Paese, vuol dire renderlo più forte. Diseguaglianze, marginalità, insicurezza di alcuni luoghi minano le stesse possibilità di sviluppo.

La crescita è in ripresa, ma è debole. Il suo impatto sulla vita di molte persone stenta a essere percepito. Va ristabilito un circuito positivo di fiducia, a partire dai risparmiatori, i cui diritti sono stati tutelati con il recente decreto-legge.

E’ ancora chiarissimo quando si rivolge direttamente ai giovani: in merito al problema numero uno, il lavoro, la prima e maggiore attenzione va rivolta ai giovani.

Desidero, adesso, rivolgermi soprattutto ai giovani. 

So bene che la vostra dignità è legata anche al lavoro. E so bene che oggi, nel nostro Paese, se per gli adulti il lavoro è insufficiente, sovente precario, talvolta sottopagato, lo è ancor più per voi. 

La vostra è la generazione più istruita rispetto a quelle che vi hanno preceduto. Avete conoscenze e potenzialità molto grandi. Deve esservi assicurata la possibilità di essere protagonisti della vita sociale. 

Molti di voi studiano o lavorano in altri Paesi d’Europa. Questa, spesso, è una grande opportunità. Ma deve essere una scelta libera. Se si è costretti a lasciare l’Italia per mancanza di occasioni, si è di fronte a una patologia, cui bisogna porre rimedio.

Quanto saranno centrali il lavoro ed in particolare i giovani nella vita politica del 2017?

Dipende da tutti, soprattutto da chi ha ruoli e responsabilità politiche più evidenti. Occorre fare in modo che passaggi pur necessari, ma strumentali (quali ad esempio in primo luogo la definizione di una nuova legge elettorale) oppure di minore rilevanza, non tolgano spazio ed energie all’attenzione primaria per il lavoro e per i giovani. Il rischio è alle porte, purtroppo! Inoltre, perché il nostro impegno sociale e politico sia efficace siamo chiamati ad esprimere un confronto più responsabile, ad unire maggiormente le forze per gli obiettivi principali e (riprendendo esattamente le parole del discorso del Presidente della Repubblica)

a non far prevalere l’odio: come strumento di lotta politica. L’odio e la violenza verbale, quando vi penetrano, si propagano nella società, intossicandola. Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento, smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza. Tutti, particolarmente chi ha più responsabilità, devono opporsi a questa deriva.

 

Come partito di sinistra occorre in aggiunta impegnarsi perché si eviti il più possibile la diffusione di una logica di competizione tra poveri, alla luce delle tante varie difficoltà sociali presenti, quali, su tutte, quelle legate alle migrazioni con l’arrivo in Italia di uomini, donne e bambini da Paesi poveri o in guerra. Mettere contro le persone tra loro non aiuterà il vero benessere di nessuna parte. Così come puntare sulla paura e sull’odio, piuttosto che sull’opportunità dell’integrazione (possibile quando operano buone amministrazioni), non aumenterà la sicurezza, ma solo l’inquietudine dei cittadini. Questo non vuol dire dimenticare che “dall’Unione [Europea] ci attendiamo gesti di concreta solidarietà sul problema della ripartizione dei profughi e della gestione, dignitosa, dei rimpatri di coloro che non hanno diritto all’asilo.” (Mattarella).

E’ molto significativo che anche Papa Francesco nel suo discorso di fine anno del 31 dicembre in Vaticano (omelia nella celebrazione dei Vespri e del Te Deum, tradizionale preghiera di ringraziamento per l’anno appena terminato) richiami la stessa identica centralità del discorso del Capo dello Stato: il lavoro per i più giovani. Come a rafforzare il messaggio del Presidente della Repubblica. Vale davvero la pena di ascoltare ed unire le sue parole a quelle di Sergio Mattarella come rotta per il 2017 e direi anche oltre:

Non si può parlare di futuro senza contemplare questi volti giovani e assumere la responsabilità che abbiamo verso i nostri giovani; più che responsabilità, la parola giusta è debito, sì, il debito che abbiamo con loro. Parlare di un anno che finisce è sentirci invitati a pensare a come ci stiamo interessando al posto che i giovani hanno nella nostra società.Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani. Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li “condanniamo” a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse.

Siamo invitati a non essere come il locandiere di Betlemme che davanti alla giovane coppia diceva: qui non c’è posto. Non c’era posto per la vita, non c’era posto per il futuro. Ci è chiesto di prendere ciascuno il proprio impegno, per poco che possa sembrare, di aiutare i nostri giovani a ritrovare, qui nella loro terra, nella loro patria, orizzonti concreti di un futuro da costruire. Non priviamoci della forza delle loro mani, delle loro menti, delle loro capacità di profetizzare i sogni dei loro anziani (cfr Gl 3,1). Se vogliamo puntare a un futuro che sia degno di loro, potremo raggiungerlo solo scommettendo su una vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale. Guardare il presepe ci sfida ad aiutare i nostri giovani perché non si lascino disilludere davanti alle nostre immaturità, e stimolarli affinché siano capaci di sognare e di lottare per i loro sogni. Capaci di crescere e diventare padri e madri del nostro popolo.

Federico M. Savia

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La scuola di un piccolo comune dell’Ascolano ferito dal terremoto diventa simbolo di rinascita e di speranza nel futuro. Il Presidente della Repubblica  al termine del suo discorso di fine anno ha mostrato un quadretto incorniciato di celeste, con il disegno della scuola, i bimbi in primo piano, e la frase: “La solidarietà diventa realtà quando si uniscono le forze per la realizzazione di un sogno comune”.

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(Foto: Ansa; twitter.com; famigliacristiana.it)