Personalmente ritengo che un nuovo modello di sviluppo tendente a integrare urbanistica ed ecologia con il recupero delle aree industriali dismesse sia decisivo per il futuro delle città italiane. Nell’ambito dell’integrazione fra urbanistica ed ecologia:

  • occorre contenere nuove forme di espansione urbana poiché il suolo è risorsa “finita” e bene pubblico irriproducibile;

  • si deve mirare ad assicurare la compatibilità ecologica e ambientale;

  • si deve tendere all’applicazione dei principi di rigenerazione ambientale a tutte le trasformazioni urbanistiche.

In questo contesto, si può sostenere che la riduzione dello spreco di suolo e il potenziamento degli standard ambientali ed ecologici urbani, siano buone ragioni per considerare le aree urbane industriali dismesse luoghi importanti per il futuro delle città. Il recupero è una sfida. In Italia i suoli agricoli si urbanizzano con una velocità impressionante, a titolo di esempio 10 ettari al giorno in Lombardia e quasi 9 in Emilia-Romagna. 

Si pone, quindi, la questione connessa alla perdita e/o al degrado di superfici idonee alla produzione agricola, alla biodiversità e alla qualità paesaggistica. Nella logica del riuso urbano può essere quindi opportuna una scelta di compattazione e densificazione dei carichi insediativi, collegati a efficienti politiche di mobilità e trasporto pubblico, che eviti altra compromissione di suolo. Sono ovvie le ragioni per cui tutti noi desideriamo contrastare lo spreco di suolo. 

Occorre pensare alla rigenerazione dei tre principali fattori ambientali ovvero aria, acqua e suolo. Occorre nuova attenzione alla dotazione di verde pubblico, alla permeabilità dei suoli. Il riuso delle aree dismesse consente non solo di restituire porzioni importanti del territorio urbanizzato, ma anche di farle concorrere al miglioramento degli standard ambientali urbani. Il riuso di aree che – come nel nostro caso – si trovano nel cuore del tessuto urbano, tende a ricucire questi luoghi con il resto della città e rende possibile il recupero di parte del deficit di dotazioni sociali che spesso caratterizza le realtà italiane. Le vecchie fabbriche lasciano – così – il posto a nuovi tessuti della città, a nuove economie e attività urbane. 

E nell’ambito di Collegno Rigenera, vorrei sottolineare come l’assegnazione degli odonimi avverrà scegliendo in via preferenziale figure femminili per favorire il raggiungimento del riequilibrio di genere. Posso sognare un nuovo insediamento tutto al femminile? Si, perché il contrasto alla violenza di genere passa anche per la buona urbanistica.

Isabella Beraudo