Lo spread è tornato e non possiamo ignorarlo anche perché ci costa tanto.
La prima cosa da chiarire è che lo spread – in estrema sintesi – definisce il tasso d’interesse che lo Stato Italiano cioè noi cittadini italiani paghiamo sui Buoni del Tesoro. Lo spread si basa sul confronto tra il titolo considerato più sicuro (quello tedesco) ei nostri Buoni del Tesoro ovvero quanto è più “convincente” il governo tedesco rispetto a quello italiano? Quanta “differenza” c’è tra le parole di Merkel e le parole di Conte?
La crisi politica, un governo poco stabile, l’ipotesi di uscita dall’Euro, le riforme e le spese prive di copertura finanziaria rendono il nostro debito pubblico più rischioso di altri e, di conseguenza, l’Italia risulta un paese più rischioso. Questo fa, inevitabilmente, salire lo spread e per finanziare il nostro debito siamo costretti ed emettere i nuovi titoli di stato pagando interessi più alti.
Quando si corrono più rischi (l’abbiamo imparato ai tempi dei titoli Argentini tasso alto = rischio alto) il tasso d’interesse diventa più alto. Siamo un paese meno solido anche perché il nostro debito pubblico non pare destinato a scendere (anzi!) e dal 2019 la Banca Centrale Europea non comprerà più i nostri titoli di stato.
Ma cosa c’entra la finanza con noi? Che impatto ha sulle famiglie?
In apparenza dovremmo essere contenti, prestiamo soldi allo stato e – finalmente – riceviamo un interesse più alto, ma questo provoca un aumento della spesa pubblica e il peggioramento dei nostri conti pubblici.
Ma di quali cifre stiamo parlando?
Per esempio, un aumento dei tassi pari allo 0,75 per cento, determina una maggiore spesa per interessi di circa 3,2 miliardi l’anno, quasi 270 milioni al mese. Un aumento di 3,2 milioni l’anno può significare 6,4 miliardi il secondo anno, 9,6 miliardi il terzo anno, 12,8 miliardi il quarto anno e così via per circa sette anni.
In base ai dati raccolti dal Sole24Ore, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio stima che 100 punti di spread potrebbero costare nel 2019 circa 4,5 miliardi di euro.
Lo spread nel 2018 è salito di 140 punti (a gennaio spread = 140, a settembre spread = 280).
Sono tanti soldi che non saranno più disponibili per i servizi ai cittadini (strade, scuole, sanità, pensioni….).
Inoltre i vecchi titoli di stato varranno di meno, per cui vendendoli potremmo incassare meno di quanto abbiamo speso a comprarli.
A questo si aggiunge la possibilità che aumentino i tassi sui nuovi mutui e che i prestiti e i fidi concessi alle imprese diventino più cari, con un conseguente ulteriore freno alla nostra debole crescita economica .
Tutto questo senza valutare gli impatti sul rating e gli effetti negativi che ne derivano.
Oggi l’Italia non è nelle condizioni del 2011. Viviamo, però, in un sistema complesso e imprese, famiglie, investitori, risparmiatori e banche non sono soggetti separati in compartimenti stagni.
Anche per noi cittadini sono importanti il numero di aziende attive, la quantità dei rapporti di lavoro stabili e la qualità dei salari, il numero delle imprese che aprono e chiudono, la capacità dell’economia reale di investire e progettare, di creare PIL e migliorare la qualità della vita.
I vari ambiti s’influenzano a vicenda, quindi lo spread necessità di essere tenuto sotto controllo.
L’Italia è l’ottava potenza mondiale e io immagino sia opportuno che rimanga tale.

 

Isabella Beraudo, consigliere comunale