L’esercizio finanziario 2016 è il primo esercizio completamente gestito con le regole della nuova contabilità finanziaria armonizzata che consentirà, tra l’altro, di conoscere i debiti effettivi delle amministrazioni pubbliche. La riforma ha definito, per regioni ed enti locali, l’adozione di regole contabili uniformi, comuni schemi di bilancio nonché la definizione di un sistema d’indicatori di risultato semplici e misurabili. Le amministrazioni risultano, così, sottoposte alle medesime regole e hanno sistemi simili di controllo che consentono anche di effettuare comparazioni.

Il nostro bilancio 2016 si chiude come sempre con bei numeri, numeri positivi che testimoniano attenzione al mondo imprenditoriale e del lavoro – per esempio il pagamento dei fornitori avviene entro 30 giorni – e lungimiranza stante il basso indice d’indebitamento del nostro Comune e grandi possibilità di investimenti. E parlando di debiti e crediti e di investimenti mi sorge spontanea una domanda. Un Comune, a me pare. debba tendere al miglioramento della vita quotidiana dei cittadini, oltreché pensare ai servizi necessari.

Si possono gestire le risorse anche per aumentare la ricchezza di offerta per sviluppare la città. Si può scegliere di investire, per esempio, in infrastrutture pensando a un processo di cambiamento, che possa anche attrarre in città chi non ci vive e convinca gli investitori e portare lavoro e servizi. Per questo è lecito fare dei debiti? I debiti non sono tutti “roba brutta”, non sono tutti debiti generati da un altro debito. Possono essere anche debiti “buoni”, che si trasformano in occasioni di sviluppo. Magari una città può essere indebitata non per “colpa” degli amministratori, ma magari “grazie” agli amministratori che hanno pensato alla sua trasformazione, allo sviluppo di nuove possibilità che hanno consentito alla città di vivere e progredire e – rientrare – così man mano dei proprio investimenti e dei propri debiti? Forse sì, e magari – così facendo – si fa veramente il bene di una Città anche perché buoni amministratori non ci s’improvvisa.

Isabella Beraudo